domenica 16 febbraio 2020

Red Mishima - Red Mishima

Etichetta: Swiss Dark Nights
Genere: dark wave

L’associazione in un’unica immagine di due termini che rinviano a sensazioni distinte, a sfere sensoriali diverse (come rispettivamente udito e tatto, olfatto e gusto, e così via), che unisce musica e immagine, viene chiamato legame sinestetico. Immergersi in un suono, soprattutto se ad alto volume, lo rende corporeo, percepibile.
Questa liaison ha da sempre suggestionato e ammaliato i musicisti.
Basti pensare al compositore francese Claude Debussy che, fra il 1901 e il 1907, compose la serie di suite per pianoforte chiamate Images, immagini appunto, che lo portarono ad essere definito un impressionista, come gli esponenti della corrente pittorica.
Con l’avvento del supporto fisico che accompagna la musica, il rapporto tra queste due arti si è andato ancora di più contaminando fino a diventare un vero e proprio rapporto funzionale: l’arte diventa applicazione della musica e la band la rappresentazione musicale dell’arte e delle installazioni dell’artista (la banana di Warhol, l’uomo in fiamme di Wish you were here, o la copertina-manifesto di Go2 degli XTC).
Così le immagini possono immortalare l’essenza di un genere e la sua rappresentazione, eternare un’icona promuovendola a mito, o slegarsi in maniera violenta dalla musica.
A volte si ha l’illusione di conoscere il contenuto del disco solo guardandone la copertina.
Come con questo primo lavoro dei Red Mishima pubblicato per la Swiss Dark Nights il giorno del mio 35esimo compleanno.
Un fiore rosso che è un’esplosione di quiete, disturbata e controllata (come il seppuku, il rito giapponese scelto da Mishima il 25 novembre 1970 come gesto di lotta contro l’occidentalizzazione del Giappone) che ci offre lo spunto per immaginare, accompagnati dalla musica della band bolognese, l’istante stesso in cui quel disco ha suonato per la prima volta.
L’album si apre con Oblivion, una cavalcata dark con un velo di malinconia che senti sincera, per poi sfociare in una rabbia che sembra implodere, soffocata tra i denti (Tomorrow’s death e Marion). Attitudine per suoni spigolosi, voce dolce e distante sommersa da strati di chitarre stranianti e volubili, nervose bizze elettriche e una grande passione per la melodia (Beyond the mirror, Crystal forest), ossessioni più che canzoni d’amore (Seppuku of love) e interessanti tessiture strumentali, tonalità cupe, spettrali, drammatiche e marziali attraversano questo loro lavoro.

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domenica 19 gennaio 2020

The Junction – Dive


Etichetta: Dischi soviet studio
Genere: punk rock, garage

Terzo disco della band padovana (dopo Let me out! del 2012 e Hardcore summer hits del 2015) e un manifesto di intenti portato avanti sin dal primo lavoro. Un disco che entra a gamba tesa in quel filone garage-punk d’oltreoceano che guarda spudoratamente agli anni ’90 e sembra non volersi esaurire.
Dive propone un suono attuale ma fatto di roba vecchia come chitarre con enormi fuzz e distorsioni, grossi amplificatori valvolari e batteria maltrattata, per un suono squisitamente sporco, aggressivo e storto (l’iniziale Die alright e Bombay movie fra tutte).
Un album decisamente ispirato, con una inarrestabile capacità di unire suoni, rumori e nervosismo ritmico con una naturalissima facilità per la melodia. Il suono marcio delle chitarre la fa da padrone in Far away, tensioni positive e scanzonate di Try something new e Lost in the middle east si alternano al piglio decisamente britpop di Crazy o Dive.
Il taglio punk rock delle ritmiche viene spinto al massimo in chiusura (The widow) come se dal coinvolgimento fisico del pubblico dipendesse un più intenso coinvolgimento mentale. L’impatto è forte e vien voglia di vederli sprigionare dal vivo la loro impetuosa energia.
Un album che sicuramente gli amanti del garage apprezzeranno.


domenica 12 gennaio 2020

TSbluesone – ‘Na spiranza


Etichetta: Dcave records
Genere: sicilian electro-blues

Devo dire che con questa produzione la Dcave records (che avevamo conosciuto anni fa con Samuela Schilirò) si è davvero superata. TSbluesone, affiancato da Daniele Grasso come produttore e arrangiatore, travalica l’abusato concetto di blues che si rivela limitato nel suo caso. La varietà di suoni ed i forti innesti elettronici ci regalano una grande ricchezza ritmica e sonora, una sensibilità poetica e, a tratti, una profonda malinconia commista a dolcezza.
Antonio Spina, siciliano, rivela nel suo stile, influenzato dal blues e in cui traspaiono gli esordi nel rhythm’n’blues, una personalità decisamente spiccata: all'occorrenza improvvisatore sciolto, il chitarrista evidenzia anche una vena allucinata non di maniera e di gran fascino.
Musica nuda e malinconica, che parla di strade percorse e da percorrere, di una terra e di un popolo che, per citare Marx ed Engels, ha “sofferto in modo terribile per la schiavitù, le conquiste e le oppressioni straniere”.
Una raccolta di otto pezzi che rappresentano la diretta connessione di TSbluesone con il blues del Delta.

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