martedì 17 maggio 2011

Bokassà @La Farm – Bologna

L’altro pomeriggio mi è arrivata, puntuale come un orologio cinese, la mail della Farm, un bel posto a Bologna dove circolano gruppi davvero interessanti, si può ascoltare dell’ottima musica dal vivo, bere qualche birra, far ubriacare il cane di Benni e stendersi sui divani.

Jack












Comincio a leggere la mail ed ecco sbucare i nomi delle band del prossimo concerto. Il primo che viene fuori è Garage Boy (se avete scaricato l’ultimo numero di Jesusmile insieme alla compilation, allora sapete di cosa sto parlando)…ottimo inizio di serata, chissà chi suonerà dopo.
Ma quando continuo a far scorrere la pagina e leggo il secondo nome, del mistero comincia ad aleggiare per via Fondazza: Bokassà, una band afropunk.
Dato che non li conoscevo, chiedo a Google se ne sa qualcosa (Google sa sempre tutto) ed infatti mi risponde: “Bokassa: dittatore della Repubblica Centrafricana e poi imperatore dell'Impero Centrafricano col nome di Bokassa I. Fu destituito il 20 settembre 1979”. Grazie Sig. Google.
Trovo poche informazioni su questi ragazzi, mi incuriosisco ancora di più e decido di andare al concerto (dopo essermi sbronzato - per sbaglio - ed essermi perso un paio di volte – volontariamente -).

Garage boy












Garage Boy (ex Bread Pitt) è proprio come me lo aspettavo: ardite melodie che spaziano dal punk all’hip-pop, dal dub alla tecno, dal funk al pop anni Ottanta. Dopo dieci minuti di headbanging nonsense, comincio ad avvertire allucinazioni sonore e credo di ascoltare la voce di Carla Bruni che mi dice di bruciare la casa di un certo Igor (stupida Carla Bruni, si pronuncia Aigor). Esco a bere una birra.
Subito dopo arrivano loro, i Bokassà, bianchissimi e lattescenti in vero stile afro, salgono sul palco (che alla Farm non c’è) ed iniziano a suonare. Da subito si capisce che i ragazzi fanno sul serio.

Bokassà

Chitarre violente e scarne, basso che spara note intrise di vigore e melodia, una batteria che fa sprofondare la stessa melodia in rabbia ancor più rude, un groove vigoroso che si porta avanti per tutto il concerto e testi che non ci sono ma che comunque, se ci fossero stati, avrebbero meritato di essere censurati.
Stati Uniti d’Africa e Parbleu! sono delle vere e proprie esplosioni di ormoni, e l’inusuale lettura di vecchie preghiere/poesie della bon’anima di Giovanni Paolo II, manda in visibilio la folla.
Il concerto si è poi dissolto in un enorme jam session tirata avanti dai Bokassà e seguita a ruota da tutto il pubblico, con una passione ed un carisma che solo un vecchio dittatore centrafricano può possedere.

Se avete voglia di scaricare il loro disco, quello di Garage Boy e tanti altri, basta andare su www.lepers.it o chiedere a Google della Lepers produtcions. Ma se davvero volete immergervi completamente in un’oasi africana per poi essere catapultati in mezzo ad un branco di elefanti in corsa, allora dovete assolutamente acquistare il loro vinile (come ha fatto il sottoscritto): un 33 giri che vi farà esplodere casa...altro che Jumanji.
E poi fatemi sapere se dal giorno dopo non vi è venuta voglia di andare a lavoro saltando di liana in liana.

 Kamchatka

video di Manu Prat
foto di Bartologiovanbrega Benedetto Monsignor della Bracella Belmondò

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