Genere: elettronica, industrial, sperimentale
Un disco che è un richiamo a Metropolis di Fritz Lang nelle sue atmosfere cupe e visionarie, con le sue
macchine che mortificano, fagocitano e sopprimono operai/schiavi, ma anche un
album che è figlio legittimo della metropoli postmoderna, nella quale
costantemente siamo chiamati a lottare.
Nonostante si tratti di un esordio, da
ogni traccia emerge chiaramente la maturità artistica di Gianni Venturi (scrittore, poeta, cantante) e Lucien Moreau (compositore, regista, musicista) completamente
padroni del proprio sound e molto sicuri dei propri mezzi comunicativi.
Suoni di elettronica pura si mescolano
ad arrangiamenti di classica orchestrale, sperimentazione, muri di macchine e
sintetizzatori, creando atmosfere apocalittiche che si mescolano ad una voce
narrante che diventa parte stessa della sezione ritmica salmodiando stati d’animo,
paranoie e ansie della vita.
Un lungo album (16 tracce per 76 minuti
circa) dalla doppia anima, una che tenta di volare alta sulle miserie di tutti
i giorni (ed in questo duemila c’è veramente da sbizzarrirsi) e l’altra che,
nello stesso momento, tenta di fare a polpette qualunque esperienza estetica sempre
piegata alla legge del più forte, si tratti di leggi politiche, economiche,
sociali o delle più moderne leggi della comunicazione che domandano un
sacrificio assai costoso al dio Moloch.
La disinvoltura con la quale Venturi/Moreau trattano aspetti
personali di uomini, che potremmo essere noi e molto spesso non lo siamo, che anziché
battersi per sopraffare gli altri da questa o quella parte di qualsiasi muro,
hanno dedicato la propria vita a sperimentare nuove strade di espressione
personale e musicale, non manca di lasciare perplesso l’ascoltatore.
Musiche e storie di scontri di uomini, conflitti
giornalieri che ci schiacciano, ci riducono a mera massa inerte e lobotomizzata,
lotte contro i potenti che puntualmente vincono e vinceranno, lo fanno ogni
giorno.
Ma questa volta non lo faranno forti del
nostro silenzio.
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