Genere: rock'n'roll
Io sono uno che odia le feste di
compleanno così ho escogitato questo infallibile metodo per evitarle: dato che
molti cd che mi arrivano a casa e sui quali dovrei scrivere qualcosina non mi
piacciono molto, anzi son album o gruppi che mai e poi mai riascolterò nella vita, con una
serie di giri di parole e pantagruelici elogi, li riciclo come regali ai
compleanni dei miei amici spacciandoli per musica ricercata dell’underground
emergente italiano. Questa strategia impeccabile mi sta portando, lentamente, a
raggiungere il mio scopo. Il tutto però comporta anche il rischio di restare
senza amici. Ma vabbè, è il rischio della scommessa.
Però, a volte, arrivano queste buste
gialle contenenti piccoli gioielli e Rowdy
dei The Di Maggio connection è uno
di quelli. Non solo non regalerò a nessuno questo disco ma molto probabilmente
domani andrò ad iscrivermi al gruppo di rockabillisti anonimi presente qui a Bologna, metterò su questo cd e costringerò tutti a ballare fino all’alba. O finchè non mi menano. Perché Rowdy è un album con una sola
grande intenzione: trasmetterti un’energia pazzesca e portarti a muovere la
parte posteriore del bacino (o chiappe, culo, deretano, didietro, fondoschiena,
glutei, mappamondo, natiche, paniere, posteriore, tafanario) fino a svenire.
Il trio, composto da Matteo Giannetti al basso, Marco
Barsanti alla batteria e, ovviamente, Marco
Di Maggio alla voce e chitarra, ti rapiscono col fascino del loro sound
suggestivo e tirato, scontro fra gli elementi, strutture di rara eleganza,
potenza ritmica ed originalità di espressione decisamente non comuni.
Per avere un’idea del sound immaginate una
cena a casa di Tarantino con Johnny Cash a fumare rabbioso alla
finestra, Elvis ed Eddie Cochran che fanno i piacioni con Sister Rosetta Tharpe mentre Clem Sacco imita le smorfie di Jerry Lewis per distrarre un disforico Gene Vincent.
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Wray
è in ritardo ma ha chiamato e sta per arrivare.
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