mercoledì 10 ottobre 2018

Sinfonico Honolulu - Thousand souls of revolution

Etichetta: autoprodotto
Genere: rock ukulele

Mettere otto musicisti insieme e sette dei quali con un ukulele in mano è sempre un gran rischio, c’è costantemente il pericolo della sindrome da chitarra da spiaggia (e non mi riferisco al fatto che dopo due ore ci si ritrova tutti a limonare tranne chi suona la chitarra, true story).
Ma l’eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili, il suddetto rischio appunto, viene assolutamente meno in questo Thousand souls of revolution, dove i Sinfonico Honolulu apprendono con profitto le migliori lezioni della Ukulele Orchestra of Great Britain, assimilano una dozzina di pezzi della migliore tradizione rock degli ultimi 50 anni (andrebbe ascoltato anche il precedente Absolutely Live) e convertono in sostanza organica brani non più vivi e, purtroppo, non presenti nel circuito mainstream, tranne che per qualche passaggio in sordina in sedicenti radio “ruock”. 
Ma torniamo a noi, in questo disco troviamo magistralmente distribuiti, ripuliti e messi in riga personaggi come Johnny Rotten, Robert Smith, gli Stranglers e Julian Cope, che non ascoltavo da anni (grazie ragazzi). E poi ancora una magistrale The killing moon, una spassionata Oh oh I love her so di uno dei miei gruppi preferiti (stiamo parlando ovviamente dei Ramones), le “muoviculo” Johnny come home e The voice, l’efficace canzone pop degli Inxs, Mystify. Se si pensava che con la cover di Johnny Cash il famoso pezzo dei Depeche mode non sarebbe potuto andare oltre, bhè, sti toscanacci provano ad alzare un pochetto l’asticella e, con successo, saltarci su e oltrepassarla, mentre è con una divertente e personalissima Lonely boy che viene fuori tutto il carattere goliardico ma al tempo stesso l’attenzione e la ponderatezza dei Sinfonico Honolulu per i suoni e gli arrangiamenti. E infine le lacrime (per modo di dire) sul pezzo più conosciuto e sacro dei Joy Division: Love will tear us apart.


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